Strategie per non pensare troppo
Dal punto di vista cognitivo, il cosiddetto "rimuginio" è un'attività mentale ripetitiva e pervasiva ed espressione di un'eccessiva ansia e preoccupazione, i cui contenuti consistono in previsioni e valutazioni negative: per la propria salute fisica, per la salute delle persone care o per eventi esterni imprevisti.
Spesso si cercano conferme di tali previsioni negative. Per esempio, chi pensa troppo al proprio stato fisico, teme che una qualsiasi patologia possa insorgere, o possa peggiorare e diventare sempre piú grave, facendo ricerche su internet come questa.
Se mi ammalassi? Se contagiassi i miei familiari? Se venissi ricoverato? E se finissi in terapia intensiva? Se morissi?
What if.
Potenzialmente qualsiasi cosa può essere pericolosa o qualsiasi evento può andare a finir male. Un certezza difficilmente discutibile. In effetti non è impossibile che domani io mi ammali o che abbia un incidente. Il controllo non è ingiustificato. Chi pensa troppo si prefigura continuamente scenari temuti e continua a ripetere a sè stesso che ogni evento negativo non sia impossibile. Il nemico in agguato con una strategia inattaccabile.
Ci si sente fragili, impotenti, intimoriti, deboli, spaventati e costantemente soggiogati dalla possibilità del futuro. Inoltre anche lo stesso "rimuginio" diventa a sua volta fonte di preoccupazione, poiché non lo si riesce ad abbandonare. Quindi non si ha il controllo sui propri pensieri e si teme di non riuscire a smettere di pensare troppo, perdendo contatto con il qui ed ora.
Compaiono sintomi fisici che aggravano il malessere e le preoccupazioni: tensione muscolare, disturbi del sonno, irrequietezza, mal di testa, tachicardia, difficoltà respiratorie, vertigini, stanchezza e problemi alla vista.
Paradossalmente, lo stato di quiete è concepito come uno stato di vulerabilità e di debolezza. Siccome c'è pericolo, lo stato di quiete ingiustificabile è talvolta vissuto addirittura con senso di colpa.
Purtoppo chi pensa troppo difficilmente giunge a soluzioni efficaci, anzi contribuisce a mantenere viva e amplificata la percezione di minaccia.
In sostanza si entra in una spirale di negatività senza uscita, ci si preoccupa per ogni piccola potenziale forma di pericolo, ci si preoccupa di essere preoccupati e delle conseguenze che questo problema comporta. Penso che la verità sia che si ha difficoltá non tanto a controllare i pensieri, quanto a controllare la preoccupazione che li genera.
Una strategia per smettere di pensare troppo è allora risalire alla natura delle nostre preoccupazioni (che non vogliamo ammettere) e placarle. Non preoccuparsi di ciò che ci preoccupa, ma capire cosa possiamo fare per preoccuparci di meno.
Un'ulteriore aiuto ci arriva dalle tecniche metacognitive.
In merito alla metacognizione, cioè le consapevolezza delle proprie capacità, si puó pensare che chi pensa troppo sarebbe scarso in: pianificazione, monitoraggio o valutazione. In pratica non sa che pianifica male, monitora male o valuta male.
La pianificazione è la capacitá di selezionare in maniera appropriata le strategie che vogliamo mettere in campo. Chi pensa troppo non mette in campo le risorse giuste. Se per esempio guido ma sento anche mal di pancia e penso che devo farmi le analisi. Che c'entra col fatto che sto guidando?
Il monitoraggio è la consapevolezza che abbiamo dell'apprendimento che si sta verificando. Chi pensa troppo non impara che certi pensieri sono illogici. Se faccio le analisi del cuore e il cuore sta bene, ma perché il problema deve stare da qualche altra parte, forse nel fegato?
La valutazione è la capacitá di valutare l'esito di una prestazione e l'efficenza con cui la prestazione è stata eseguita. Una persona può sentirsi incapace e inadeguata a risolvere i problemi che la preoccupano perché non è stata resa capace di risolvere i problemi nel periodo dello sviluppo, perció si valuta male.
Nel voler pretendere un'ulteriore via d'uscita, seguendo il pensiero metacognitivo, una possibile strategia sta allora nell'identificare/riconoscere il deficit nel pensiero che ci impedisce lucidità (pianificazione, monitoraggio o valutazione?), potenziare le aree che già funzionano, migliorare il nostro deficit e migliorare quindi le nostre prestazioni. Ció aumenta l'autostima, che agisce da rinforzo e ci motiva al cambiamento.
Francesco Santini, Psicologo.